domenica 11 dicembre 2011

L'ICI e le sue esenzioni

In questi giorni in cui gli egoismi individuali e di gruppo dominano la discussione politica, in cui si discute più di cosiddetti diritti acquisiti che di banali criteri di equità, perchè l'equità è da anni che non è più una parola d'ordine, il problema dell'Ici e delle sue esenzioni fa la parte del leone.
Questo è dovuto sicuramente al fatto che è sulla reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, sulla automatica e "cieca" rivalutazione fittizia delle rendite catastali (ma non per tutti), che si regge buona parte della "manovra Monti", ma è anche dovuto all'esistenza di esenzioni preesistenti della cui legittimità, di fronte alle nuove e pesanti richieste, si incomincia a porsi delle domande.
La discussione è complessa ed intricata, ma che le esenzioni siano andate fin troppo spesso ben oltre la legittimità lo dice l'ammissione stessa delle alte cariche ecclesiastiche, che si dichiarano disposte a verificare l'esistenza di abusi.
Il problema è che non si sta parlando di abusi, ma di leggi non corrette, e di interpretazioni fin troppo favorevoli delle stesse. Se qualche ente ecclesiastico ha violato la legge esistente, deve solo essere punito pesantemente, senza alcuna attenuante, ma questo dovrebbe essere la normalità, il necessario rispetto della legge e la punizione della sua violazione.
In realtà stiamo parlando di ben altro, di una interpretazione "benevola" dell'interesse sociale, per cui lo Stato rinuncia ad un suo diritto in cambio di un beneficio, che è, o meglio dovrebbe essere, un'attività di interesse generale.
Ma qui io ho un dubbio fondamentale.
Cosa ha a che fare una proprietà immobiliare con l'uso che ne viene fatto?
Normalmente niente, tranne per le tante esenzioni ICI.
Se un'istituzione vuole svolgere un servizio alla società, mi sembra corretto che questa attività possa avere delle speciali condizioni fiscali, delle agevolazioni in considerazione della natura sociale dell'attività stessa.
Se la suddetta istituzione possiede degli immobili, li usi o meno per la sua attività, con l'attività stessa non hanno alcun legame diretto, e credo che, qualunque sia l'istituzione in oggetto, ecclesiastica, statale o privata, sulla proprietà debba in ogni caso pagare le tasse di proprietà. L'attività di interesse sociale la potrebbe sempre svolgere anche se non avesse la proprietà, ma semplicemente il diritto di uso, un affitto nominale, senza alcun valore che si rivaluta, senza la possibilità di vendere e acquisire capitale. Diritti che si pagano con le tasse sulle proprietà, come l'ICI. Quindi io credo che ogni proprietà debba pagare le relative tasse, e magari rinunciare alla proprietà stessa in cambio di un diritto d'uso, limitato all'uso effettivo e alle condizioni concordate, se si ritenesse troppo onerosa la tassa di proprietà.
Detto in altri termini più terra terra: se non vi va bene di pagare le tasse su quello che possedete, ridatecelo indietro, che poi vedremo come venire incontro alle esigenze delle vostre attività sociali, almeno fino a quando continuerete a svolgerle.
E questo deve valere per ogni istituzione, laica o ecclesiastica che sia.

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