domenica 29 gennaio 2012

I Sindacati, la crescita economica e la politica industriale

Su Repubblica.it di oggi, Scalfari ha scritto un editoriale dal titolo: Una lettera per la Camusso che viene da lontano, riportando come punto di partenza una parte di una sua intervista a Luciano Lama del 1978. Credo che vada letto con molta attenzione, perchè propone tesi molto condivisibili, ma apre anche interrogativi che non possono essere ignorati. Riporto qui solo due frasi dell'articolo di Scalfari da cui vorrei prendere lo spunto per un ragionamento più complesso:

Alla base di tutto però c'è il problema dello sviluppo. Se l'economia ristagna o retrocede la situazione sociale può diventare insostenibile. La sola soluzione è la ripresa dello sviluppo. Quando si deve rinunciare al proprio "particulare" in vista di obiettivi nobili ma che in concreto impongono sacrifici, ci vuole una dose molto elevata di coscienza politica e di classe. Si è parlato molto, da parte della borghesia italiana, del guaio che in Italia ci sia un sindacato di classe. Ebbene, se non ci fosse un'alta coscienza di classe, discorsi come questo sarebbero improponibili. Abbiamo detto che la soluzione delle presenti difficoltà e il riassorbimento della disoccupazione sta tutto nell'avviare un'intensa fase di sviluppo. Per collaborare a questo obiettivo noi chiamiamo la classe operaia ad un programma di sacrifici, ad un grande programma di solidarietà nazionale.

 Noi siamo uno spicchio della crisi. Abbiamo fatto il dover nostro e il nostro interesse con la manovra sul rigore dei conti appesantiti da una mole di debito. Adesso è il momento della crescita e dello sviluppo. Non dipende solo da noi, lo sviluppo dell'economia italiana. Dipende dall'Europa ed ha del miracoloso il prestigio che il governo Monti ha recuperato dopo la decennale dissipazione berlusconiana. La crescita dipende in larga misura dalla produttività e dalla competitività del sistema Italia. Sono state entrambe imbrigliate dalle lobbies ma la produttività dipende da tre elementi: il costo di produzione (che è cosa diversa dal salario), la flessibilità del mercato del lavoro, la capacità imprenditoriale. Il sindacato può e deve favorire la flessibilità del lavoro in entrata e in uscita. Se farà propria la politica sindacale di Lama che la portò avanti tenacemente per otto anni, avrà fatto il dover suo.

 La prima fase è dall'intervista a Lama del 78, la seconda è di fatto l'invito che Scalfari fa ai sindacati, e principalmente alla CGIL, perchè seguano le stesse indicazioni di Lama di 35 anni fa, di farsi cioè carico della propria parte di "sacrifici" in favore di uno sviluppo generale del paese.
Il principio è sicuramente corretto, ed il "sacrificio" che viene chiesto a chi ha già un lavoro stabile in favore di chi è precario o un lavoro non ce l'ha non è nemmeno particolarmente elevato. Il vero problema, 35 anni fa come oggi, è se tutti fanno davvero la propria parte e se quindi l'obiettivo che viene perseguito lo si raggiunge davvero.
Come ricorda anche Scalfari, 35 anni fa l'accordo sindacale che doveva servire a presentare i sindacati come un corpo unico e forte nella trattativa per un nuovo sviluppo durò in effetti poco, travolto non tanto dagli avvenimenti interni italiani, che pure furono estremamente violenti, ma sopratutto dall'evoluzione del capitalismo internazionale, a cominciare dalla globalizzazione della sua parte finanziaria ed il suo rapido dominio su quella propriamente industriale. Per l'asfittico capitalismo italiano fu una corsa verso le rendite e l'abbandono dei settori industriali più concorrenziali,  insieme ad un ripiego verso "il piccolo è bello" che ci ha portati al disastro attuale. I "sacrifici" sindacali non solo non furono accompagnati da una adeguata politica industriale, ma ci fu un vero e proprio abbandono di una politica industriale degna di questo nome.
Le conseguenze sono note e le stiamo vivendo sulla nostra pelle: crescita in continua diminuizione, competitività in decrescita continua con conseguente aumento della disoccupazione reale. Tanto che l'unica soluzione è stata quella di introdurre in modo ufficiale il lavoro precario, tanto gradito dalla nostra classe imprenditoriale da farlo diventare "a tempo indeterminato" per un'intera generazione di lavoratori. I sindacati hanno fatto solo qualche strillo di principio, ma poi si sono limitati ad ignorare il problema, ed i precari.
Oggi, che la situazione si è fatta insostenibile, si ripropone il problema dello sviluppo e della crescita, senza i quali non ci può essere aumento di occupazione ed un maggior benessere generale, ed ancora una volta si chiede che tutti partecipino ai "sacrifici" in nome del bene comune.
A parte però il fatto che in questi ultimi anni c'è chi ha pagato duramente gli effetti della stagnazione economica italiana, ma c'è anche chi ci ha guadagnato, e anche molto, per cui sarebbe intanto il caso che "i sacrifici" vengano chiesti, per cominciare, a questi ultimi, ci sono le parole che ho evidenziato nella seconda frase dell'articolo di Scalfari che ho riportato. Scalfari parla di capacità imprenditoriale, ma sappiamo benissimo quale è la capacità imprenditoriale della classe dirigente italiana, l'abbiamo vista esplicitata negli ultimi 20 anni, ed è la causa principale della disastrata situazione attuale. Perchè dovremmo pensare che qualcosa possa cambiare spontaneamente? Che chi si è rifugiato nelle rendite di posizione, nei giochini finanziari possa improvvisamente decidere di rischiare il proprio capitale in favore di un nuovo sviluppo industriale nei settori ad alta tecnologia che hanno velocemente abbandonato anni fa? Fantasie ed illusioni, al meglio. Con il risultato che i "sacrifici" chiesti ai sindacati, e quindi sempre alla solita parte della popolazione, siano di fatto inutile a risolvere il problema, spostandolo semplicemente un poco più in là.
E allora?
Allora ci vuole una chiara visione di politica industriale, e la capacità politica di imporla a quegli ignavi del nostro ceto cosiddetto imprenditoriale. Una politica che premi l'innovazione, che favorisca le concentrazioni, che elimini i deboli e i parassiti, proteggendo con le politiche del wellfare i lavoratori interessati, ma mai tenendo in piedi baracconi incapaci di reggersi con le proprie forze solo per "salvare l'occupazione". E che non dia nemmeno un soldo alle rendite di posizione, alle rendite immobiliari e simili, che vanno invece pesantemente tassate. Perchè è del lavoro che abbiamo bisogno, non dei patrimoni immobilizzati.
Perchè Scalfari, che altre volte è stato sensibile a questo tema, questa volta ha taciuto?

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